giovedì 19 luglio 2007

La Maglia Nera


Atto unico.
Un unico attore sul palco.
Scenografia inesistente: solo una strana bicicletta ed una brocca d'acqua.

Questo è "La Maglia Nera", spettacolo teatrale scritto ed interpretato dal bravissimo Matteo Caccia. Un viaggio a tappe - 6, per la precisione - nel mondo del ciclismo d'altri tempi, quello degli eroi e delle imprese, quello dei corridori che andavano alle corse in treno, dormendo lungo i vagoni abbracciati alle loro biciclette, quello di Coppi e Bartali (ma anche quello dell'Italia post-bellica divisa tra PCI e DC, quello della Jugoslavia in cui i ciclisti italiani, oltre a correre in bicicletta, arrotondavano lo stipendio vendendo di contrabbando tutte quelle merci che il regime di Tito aveva vietato, dei ciclisti che per lavoro facevano i muratori o i garzoni di macelleria). Un mondo che oggi potrebbe apparire surreale, che ci viene presentato attraverso gli occhi del grande Luigi Malabrocca, il "Cinese" di Garlasco (scomparso meno di un anno fà), famoso non tanto per le sue doti di ottimo ciclista, ma per essere un abitueé dell'ultimo posto nella classifica del Giro d'Italia, peculiarità che gli permise di costruire la sua popolarità e di prendersi soddisfazioni anche sul piano economico. In particolare, nel giro del 1949 la sua rivalità col muratore vicentino Sante Carollo (scomparso nel 2004) per la corsa all'ultimo posto appassionò l'Italia quanto quella che c'era in testa alla corsa, tra Coppi e Bartali. E chi, come me, ama la bicicletta, non può fare a meno di pensare...


Cosa spinge me e tanti altri cicloamatori del finesettimana a macinare kilometri e kilometri sulle nostre biciclette? L'esigenza di perdere peso e mantenersi in forma? Anche. Ma per una buona fetta di appassionati - chiamateli sognatori o "bambinoni" o come altro volete voi, ma io credo di essere uno di loro - la motivazione è anche un' altra. Quanti di noi, quando affrontano una salita che spezza il fiato, non sentono di avvicinarsi ai propri idoli di infanzia? Non ci sentiamo coriacei come Magni, ostinati come Gimondi, instancabili come Bartali, entusiasti come Pantani? Quando teniamo il passo non ci sentiamo forse in competizione con un cronometro fantasma, come Moser? E quando scattiamo, non sentiamo le nostre gambe esplodere tutta la loro potenza, come facevano quelle di Cipollini? Come? Non ho citato Coppi? No, bè... lui era perfetto, ed io perfetto non mi ci sento mai... Ma in questa nostra imperfezione (chi con troppa panza, chi senza fiato, chi con il dolore ad un ginocchio, chi con la bici troppo pesante o con le ruote sgonfie) ci setiamo come i ciclisti del passato, e affrontiamo la fatica con lo spirito del Pirata: "La fatica in montagna per me è poesia".

Tornando allo spettacolo: se potete andatelo a vedere e lasciatevi emozionare. E se avete la fortuna di poterlo vedere all'aperto (come è capitato a me nella splendida cornice di Piazza Arringo, nell'ambito dell'Ascoli Festival) potreste anche portarvi la bici da casa ed usarla al posto della poltrona. E grazie a Matteo, che ha risvegliato in tutti noi (ad assistere allo spettacolo c'erano diversi miei amici "filosofi" del pedale) il desiderio nascosto di poterci rinchiudere dentro una biglia di plastica, e rimanere lì, per far ridere e sognare i bambini che giocano sulla spiaggia.

Nessun commento: